La laurea e il rating degli atenei

Oggi piatto doppio: ritorno sul tema del valore legale della laurea con un articolo su Il Tirreno. Il mio titolo era lo stesso del mio vecchio post, ma il loro è migliore.

L’articolo in pdf dal giornale si trova qui, ma il testo è qui sotto.

Il Tirreno, 10 febbraio 2012

Molti hanno un’opinione perentoria sull’abolizione o il mantenimento del valore legale della laurea, nonostante il senso della questione sia veramente sfuggevole. Per esempio, a seconda di come la cosa si realizza, può diventare un’operazione di natura dirigista o liberista.

Il valore legale del titolo di studio è definito da due vincoli. Da un lato,  un’organizzazione che si voglia chiamare Università e voglia offrire un corso di studio che porti al conseguimento della “laurea”, deve essere autorizzata dal Ministero competente. Per farla semplice, deve rispettare norme sulle modalità di assunzione dei docenti, sul loro numero rispetto ai corsi di studio che vuole offrire, sulle materie previste per ciascun corso di studio. Dall’altro lato, nelle selezioni pubbliche, non si può esplicitamente discriminare i candidati in base all’Università presso la quale è stata conseguita la “laurea.”

Parlo di selezioni pubbliche per includere sia concorsi pubblici sia selezioni in aziende private basate su procedure interne condivise (molte posizioni in molte imprese medio-grandi).

Ci sono cose che non c’entrano niente con il valore legale della laurea. Anche oggi l’ente o l’impresa che bandisce una posizione può ridurre o eliminare i vincoli sul tipo di laurea, e qualunque commissione di concorso o selezionatore può decidere di non dare peso reale al voto di laurea. Sono cose che si sceglie di fare per scremare i candidati e semplificarsi il lavoro. Impedire che si possano fare è un atto dirigista, non liberista.

Ci sono anche oggi titoli che non hanno valore legale. Vengono valutati in modo qualitativo, inglobandoli nella valutazione generale del curriculum, oppure in modo forfettario. Per esempio: 5 punti per un master di almeno 12 mesi.

Ora facciamo un esperimento mentale e supponiamo di abolire il valore legale della laurea. Che succede?

Dipende. Supponiamo che il riconoscimento del Ministero sia sostituito da un accreditamento da parte di un’apposita agenzia.

Se ottenere l’accreditamento sarà difficile come ottenere il riconoscimento del Ministero, cambierà abbastanza poco.  Se invece sarà semplice, o se non sarà necessario, le cose cambieranno, perché sarà più facile creare nuove Università e offrire nuovi corsi di studio da parte di quelle che già ci sono. Non so se questo possa essere un bene o un male, però noto che le critiche al sistema universitario negli ultimi anni siano state di eccessiva offerta e fantasia nell’offerta.

L’accreditamento potrebbe poi comprendere un voto (un rating) per l’Università, e quindi stimolare ciascuna Università a cercare di conquistare – per esempio – la “tripla A”.

Vediamo la cosa da parte di chi deve assumere. Parliamoci chiaro, non è realistico che chi assume metta pubblicamente un vincolo sull’Università di provenienza dei candidati (“assumiamo solo da Università del Granducato”). Potrebbe invece mettere un vincolo sul rating dell’Università (“noi assumiamo solo laureati AAA”) oppure assumere solo laureati di Università accreditate.

In tutti questi casi, come già ora peraltro, se la commissione di concorso o il selezionatore vorranno esercitare la propria autonomia, potranno  scegliere di attribuire al rating il valore che vogliono, oppure giudicare solo in base alle prove, al curriculum o al colloquio. Se invece ci saranno norme che obbligano a usare il rating nella selezione, di nuovo avremo un’operazione in senso dirigista, invece che liberale.

Mi pare che i proponenti dell’abolizione del valore legale del titolo di studio abbiano un atteggiamento liberale e puntino a un cambio di mentalità: che piano piano il rating delle Università sia assimilato come criterio di selezione, e che contemporaneamente le Università cerchino di acquisire il rating più alto. Puntano in realtà ad abbattere il valore legale del titolo non perché sia necessario, ma perché sono convinti che altrimenti nessuno guarderà al rating.

Insomma, a me pare che non sia il caso di avere opinioni perentorie sulla questione del valore legale del titolo di studio, perché tutto dipende da se e come sarà dispiegato il meccanismo di accreditamento. A seconda dei casi, il risultato può essere gattopardesco, dirigista, liberale, o liberatutti. Guardandomi in giro, scommetterei sul gattopardo.

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