I ricercatori, effetto e fattore di ricchezza

Opinione su uscita Il Tirreno del 28 settembre 2012, in versione leggermente ridotta.

L’investimento in ricerca è un pilastro delle società avanzate. Solo quando un Paese raggiunge un adeguato livello di benessere comincia a competere nello sviluppo di nuove tecnologie e nella gara internazionale per la creazione della conoscenza.

La ricerca è però non solo un effetto, ma anche una causa della ricchezza: a meno che un Paese non sia dotato di enormi risorse naturali, lo sviluppo economico si sostiene nel tempo con il flusso continuo di innovazioni come risultato diretto o indiretto della ricerca.

L’Italia non fa eccezione. È tra l’ottavo e il nono posto al mondo sia per la spesa complessiva in ricerca pubblica, sia per gli indici bibliometrici di impatto scientifico. È all’ottavo posto per la spesa delle industrie in ricerca, e circa al ventesimo per numero di brevetti europei e americani depositati. La piccola incongruenza indica solo che siamo indulgenti nel catalogare le attività di ricerca industriale.

Ma i ricercatori si formano solo in un Paese con un sistema educativo forte, e in cui la professione del ricercatore è ambita dai giovani brillanti.

L’equilibrio tra i fattori è importante. Se un paese decide di investire molto in ricerca, ma la professione del ricercatore non è sufficientemente ambita, dovrà importare scienziati. È storicamente il caso degli Stati Uniti, del Regno Unito, dei Paesi Scandinavi, della Svizzera. Se un paese investe poco, ma la professione del ricercatore è ambita e il sistema educativo adeguato, diventerà un esportatore netto di scienziati. È storicamente il caso di Russia, India, Iran.

La Commissione Europea ha colto l’importanza di questo equilibrio sei anni fa. Ha deciso di dedicare l’ultimo venerdì di settembre di ogni anno a una festa in contemporanea in tutta Europa, che faccia conoscere la professione del ricercatore al grande pubblico e celebri i ricercatori come persone normali alle prese con problemi appassionanti. La Notte dei Ricercatori sarà festeggiata oggi venerdì 28 settembre in più di 300 città europee, incluse le città universitarie della Toscana. Per i lettori interessati, la festa toscana è SHINE! e tutte le informazioni sono sul sito www.shine2012.eu.

Se la ricerca è per le società ricche, e la crisi economica e finanziaria ci fa sentire più poveri, perché ne parliamo?
Dobbiamo essere consapevoli che il nostro è sempre un Paese ricco: se vogliamo che rimanga tale dobbiamo investire in ricerca. D’accordo, dobbiamo farlo meglio, con attenzione al risultato, con gli incentivi giusti, attenti alle ricadute economiche, eliminando alcuni vizi. Ma dobbiamo farlo.

Anche perché abbiamo l’enorme vantaggio dell’altra componente essenziale dell’equilibrio: abbiamo un sistema educativo forte, e abbiamo una società che con riflesso naturale attribuisce prestigio alla figura del ricercatore e dello scienziato. È un patrimonio che manca ad altri, più o meno ricchi di noi, ed è da non disperdere.

Personalmente non sopporto più la retorica della fuga dei cervelli, ma è vero che l’Italia è un paese esportatore netto di ricercatori. Esportare un ricercatore vuol dire in realtà regalare il risultato di grande impegno e molte spese.

Ma il pericolo maggiore è che nel tempo il Paese raggiunga di nuovo l’equilibrio riducendo il numero di ricercatori che forma ogni anno, e quindi riducendo la capacità di innovazione e le occasioni di crescita economica.

Stasera festeggiamo con i ricercatori. Ricordiamoci che sono un effetto e un fattore della ricchezza del nostro paese. Passata la festa, cerchiamo di essere egoisti e lungimiranti: ricordiamo l’importanza di investire su scienza, tecnologia e cultura umanistica per la ricchezza del nostro Paese.

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