Alcune note per una visione ambiziosa e realistica dell’Università di Pisa

L’avvicinarsi delle elezioni del nuovo Rettore è un’occasione per riflettere e discutere su come vogliamo che evolva la nostra Università. In questo spirito, le sintetiche note che seguono sono un inizio di riflessione, nella consapevolezza che ciascun punto richiederebbe un trattamento più approfondito e una discussione separata.

È vero che le decisioni e le relative attuazioni dipendono da molti fattori esterni e dal consenso nei processi democratici interni. Non di meno, è importante che ci sia una visione chiara, condivisa e realistica della direzione in cui condurre l’Università, in modo da comporre in modo coerente le forze interne e le occasioni propizie provenienti dall’esterno. Credo che il nuovo Rettore debba essere eletto per la nostra fiducia nella sua visione e nel suo impegno a realizzarla.

A mio parere, una nuova visione per l’Università di Pisa deve tenere conto di alcuni dati di fatto che si sono manifestati con chiarezza negli ultimi anni:

  • A livello nazionale, non è realistico che ci sia un aumento cospicuo delle risorse destinate al sistema universitario, data la situazione della finanza pubblica.
  • A livello internazionale, il sistema universitario sta diventando sempre più globale. La mobilità degli studenti e dei lavoratori della conoscenza è aumentata, i percorsi educativi in nazioni diverse sono ormai confrontabili. L’attenzione della politica e dell’opinione pubblica in tutti i paesi alle classifiche internazionali delle università è un effetto di questo processo.
  • Il prestigio di un Ateneo non si basa più solo sulla formazione della classe dirigente (un tempo), o sulla formazione dei lavoratori della conoscenza (più recentemente), ma sempre più sull’impatto dell’Università sulla vita sociale, economica e culturale della nazione. Il prestigio è prezioso, perché favorisce l’acquisizione di risorse da finanziatori pubblici e privati, con cui accrescere ancora impatto e prestigio. Su questo ciclo virtuoso si basa la forza delle migliori università del mondo.

In questo contesto, credo che sia fondamentale che il nostro Ateneo punti con decisione al modello delle grandi Università di Ricerca[1].

Il motivo è semplice: solo le grandi università di ricerca riusciranno in un sistema universitario globale a mantenere identità riconoscibile e prestigio, e quindi ad acquisire le adeguate risorse economiche e umane. È l’unico modo di innescare il ciclo virtuoso che consente agli studenti di ottenere un’educazione migliore e un titolo più apprezzato, ai ricercatori e agli studiosi di svolgere un lavoro migliore, al paese di crescere culturalmente, economicamente, socialmente. L’alternativa è pericolosa, perché per lo stesso meccanismo, una iniziale perdita di prestigio può portare a un’accelerazione verso il basso.

Con quali risorse? L’aspetto su cui possiamo realisticamente agire è l’acquisizione di risorse proprie, in termini di ricerche commissionate, ricerche con finanziamenti competitivi e offerta didattica complementare.

Le nostre risorse proprie sono molto minori di quelle delle acclarate grandi università di ricerca. Per esempio, l’Università di Pisa e l’Università di Cambridge sono confrontabili per numero di docenti, per numero di laureati, e per finanziamento pubblico di base (246.2 milioni di euro per Pisa, 178.6 milioni di sterline per Cambridge)[2]. L’Università di Pisa ha raccolto nel 2013 circa 27.5 milioni di euro dalla ricerca, mentre l’università di Cambridge 371.8 milioni di sterline. È vero che il Research Council e le fondazioni del Regno Unito (soprattutto la Royal Society) sono molto più generose del nostro ministero in termini di finanziamenti alla ricerca, e che Pisa ha molti più studenti. Però, anche solo considerando i programmi quadro della Commissione Europea, l’Università di Cambridge ha raccolto più di 6 volte i finanziamenti raccolti dall’Università di Pisa.

È necessario incrementare notevolmente gli importi raccolti con le ricerche commissionate e le ricerche con finanziamenti competitivi. Una serie di misure concertate potrebbero renderla una priorità dell’Ateneo:

  • Forte supporto centralizzato ai dipartimenti, ai docenti, e al personale amministrativo;
  • Coordinamento di azioni collettive e creazione di strutture ad hoc per poter accedere ai grandi finanziamenti e stabilire accordi strategici con grandi organizzazioni, non accessibili ai singoli gruppi di ricerca.
  • Allineamento degli incentivi per le strutture e per i singoli a questo obiettivo, in modo da liberare le energie e le eccellenze di cui l’Università già dispone, focalizzarle sullo sviluppo dell’Ateneo, e permettere loro di lavorare al meglio.
  • Coordinamento centralizzato di iniziative di raccolta fondi per lo svolgimento di ricerche di interesse pubblico.

Credo che sia realistico l’obiettivo di raddoppiare il totale dei fondi raccolti per la ricerca in cinque anni.


Le classifiche internazionali sono parziali, incomplete e a volte deformi. Ma sono l’effetto di un sistema effettivamente globalizzato in cui il singolo può decidere dove studiare per la laurea triennale, dove studiare per la laurea magistrale, e la singola organizzazione può decidere con quale ateneo stabilire un rapporto privilegiato. Essere in alto in tali classifiche ha una forte correlazione con l’essere rinomati su scala globale, per ricerca e per prestigio.

Reperire maggiori risorse e allineare gli incentivi può consentire di incrementare l’impatto in qualità e quantità della ricerca dell’Ateneo.

Un altro aspetto fondamentale, nell’era dell’informazione, è il prestigio dell’Università nella comunità universitaria e nell’opinione pubblica. Aumentare il prestigio richiede una moltiplicazione degli sforzi di comunicazione interna ed esterna, la promozione continua dei migliori risultati raggiunti da tutti i membri della comunità, l’impegno in attività di divulgazione tra il pubbico (outreach), e in altre attività che abbiano impatto sulla vita culturale e sociale della nazione. Tra esse ci sono senz’altro le attività che costituiscono la cosiddetta terza missione, in cui la nostra università è cresciuta molto negli ultimi anni e in cui ancora c’è ancora molto spazio per crescere. La terza missione può rendere il nostro Ateneo il motore principale della cultura e dell’innovazione industriale nella nostra regione e uno dei maggiori del paese.

Non è semplicemente accettabile che piccole realtà appaiano confrontabili o addirittura migliori del nostro Ateneo agli occhi dell’opinione pubblica. Se tutta la comunità universitaria fosse chiamata a partecipare a questo impegno, si potrebbe accrescere o in alcuni riscoprire l’orgoglio di far parte di questa Università.


La didattica trarrebbe forti vantaggi dall’impegno sul fronte della ricerca e del prestigio. Considerare didattica e ricerca come priorità alternative non ha riscontro nella realtà: per esempio, la classifica internazionale degli atenei del Times Higher Education per la didattica è fortemente correlata con quella per la ricerca. Perché, nel tempo, risorse e prestigio consentono di attirare e supportare gli studenti, docenti e non docenti più motivati.

L’aumentata mobilità degli studenti fa sì che siano sempre più frequenti i casi che laureati di un ateneo decidano di conseguire la laurea magistrale in un’altra università. È quindi importante trattare e promuovere i corsi di laurea magistrale come percorsi educativi autonomi, farli conoscere e proporli alla più ampia platea possibile di studenti, renderli uno dei principali fattori di attrazione per l’Università.

I corsi di laurea e laurea magistrale del nostro ateneo sono più di 100. È fondamentale sperimentare innovazioni su alcuni corsi di laurea. Per esempio, è utile proseguire con l’offerta degli insegnamenti in inglese, è utile sperimentare i corsi in collaborazione con altri atenei e fuori Pisa, i corsi a distanza, le summer school, la cosiddetta educazione continua, i master. Nello spirito della sperimentazione, sarà veramente importante stabilire dei criteri di successo e monitorare ogni esperimento, per estendere prontamente ciò che funziona e interrompere ciò che non funziona.

Alcune forme di didattica innovativa, quali master e corsi di educazione continua per chi già lavora o ha lavorato, rappresentano una risposta diretta dell’università alle esigenze del mondo del lavoro e sono un’opportunità importante sia per migliorare l’impatto dell’università sulla società, sia per incrementare le risorse proprie. Anche in questo caso, è fondamentale riallineare gli incentivi dei singoli e delle strutture agli interessi dell’Ateneo e del territorio.

È fondamentale per i nostri studenti potenziare ancora le attività di job placement per tutti i titoli di studio, incluso il dottorato, e attivare iniziative per seguire gli studenti dopo gli studi e negli anni del lavoro, coltivare negli anni il legame tra ex-alunni e università, fare dell’orgoglio dei nostri ex-alunni la migliore testimonianza del nostro lavoro. Inoltre, è necessario usare queste attività per raccogliere nuovi elementi di conoscenza che informino la progettazione e l’evoluzione dell’offerta didattica.


Infine credo sia fondamentale per il nuovo governo dell’Ateneo curare lo sviluppo del personale docente e non docente, attraverso un piano di sviluppo condiviso e un assetto organizzativo che valorizzi le capacità e le prerogative di ciascuno.

Le sfide che l’Università di Pisa dovrà affrontare nel nuovo scenario internazionale saranno ardue e complesse: è necessario che ciascuno di noi usi al meglio le proprie capacità facendo ciò che sa fare meglio.

È importante che il personale docente si possa concentrare sulla didattica e sulla ricerca, nello svolgimento delle attività quotidiane e nella progettazione e guida della didattica e della ricerca. È importante che il personale amministrativo e tecnico si possa concentrare sul funzionamento della macchina amministrativa e tecnica con adeguata autonomia esecutiva. Sembrano cose ovvie, ma spesso vediamo colleghi docenti esasperati per le numerose pratiche burocratiche e amministrative di cui si devono fare carico, e colleghi non docenti altrettanto esasperati per l’affidamento di responsabilità amministrative e organizzative a docenti poco interessati e inclini al ruolo.

Il miglioramento dell’assetto organizzativo richiede da un lato un ulteriore deciso snellimento delle procedure e dei regolamenti, e dall’altro una chiara ed efficiente attribuzione dei ruoli e dei compiti, sia tra dipartimenti e amministrazione centrale, sia tra docenti e non docenti. Il prestigio e la credibilità dell’Università come motore dell’innovazione in Italia richiede anche che l’Università sia un modello per assetto organizzativo e per efficienza delle procedure organizzative e operative, sfruttando pienamente l’autonomia di cui gode.

Lo sviluppo del personale è soggetto ai repentini cambiamenti di linea del legislatore. Per questo motivo è importante avere priorità chiare, in modo da utilizzare in modo coerente – con un piano condiviso – le occasioni di azione concesse dal legislatore e dal governo nazionale.

È importante allineare le priorità di sviluppo del personale al modello di università che vogliamo, superando l’ancoraggio prevalente al fabbisogno didattico, che si addice più a una teaching university. Per essere stabilmente tra le grandi università del mondo, dobbiamo avere priorità adeguate, allineare gli incentivi dei singoli al nostro modello di Università, procedere di conseguenza allo sviluppo del personale.

L’ultimo punto è dedicato a chi non voterà per il futuro Rettore. L’età media di ingresso nei ruoli è troppo alta, per responsabilità soprattutto del legislatore. Il problema è drammatico, perché è raro il personale di ruolo con meno di quaranta anni. Sarà importante che il nuovo Rettore porti l’Ateneo a una soluzione condivisa, che attenui la vacanza generazionale che si è creata.

Come avevo anticipato, si tratta di note sintetiche e incomplete, di un inizio di riflessione su aspetti che discutiamo raramente, presi come siamo dallo svolgimento del lavoro quotidiano. Ma tra meno di un anno si voterà per un nuovo mandato rettorale, ed è il momento alzare lo sguardo verso il futuro.

[1] Nella classificazione Carnegie, l’università di Pisa è già una VH/RU (Research University with Very High research Activity). Delle 4000 istituzioni universitarie americane, 108 sono classificate VH/RU. In questo contesto, per grande università di ricerca intendo una delle migliori VH/RU.

[2] Per Pisa i dati sono relativi al bilancio 2013, per Cambridge all’anno che termina Luglio 2014. Un confronto più dettagliato tra le due Università è su http://www.iannaccone.org/2015/08/28/cambridge-e-pisa/

[photo credits: Herman Rhoids on flickr]

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