Il materiale delle meraviglie

TFET

Giuseppe Iannaccone

pubblicato su Il Tirreno, 6 ottobre 2010

Ieri, per un attimo, abbiamo avuto la sensazione di essere tornati agli albori del premio Nobel. Nei primi anni del ‘900 venivano premiati scienziati giovani, pochi anni dopo la loro scoperta rivoluzionaria. Così fu per Pierre e Marie Curie, per Einstein, per Marconi. Nel tempo, questa tradizione si è persa, e abbiamo cominciato a vedere scienziati ormai in pensione ricevere il premio per un contributo alla scienza dato in gioventù.

E invece ieri André Geim e Kostantin Novoselov, dell’Università  di Manchester, hanno ricevuto il premio Nobel per la Fisica per una scoperta del 2004. Solo sei anni fa sono riusciti a manipolare della comune grafite per ottenere uno strato di Grafene, un materiale cristallino costituito da uno strato di carbonio dello spessore di un singolo solo atomo. Il grafene è diventato subito “the wonder material”, il materiale delle meraviglie. E’ il materiale conosciuto più resistente alla trazione; il miglior conduttore elettrico a temperatura ambiente; è flessibile e praticamente trasparente. E poi, è bello. Gli atomi di carbonio si dispongono in una struttura planare ad alveare, con leggere ondulazioni, e tanto basta perché la materia acquisti proprietà  fisiche nuove, spesso impreviste, e dotate di quella bellezza che muove gli scienziati.

Dal 2004, è partita una vera caccia all’oro su scala globale. Fisici, Chimici ed Ingegneri nei laboratori di ricerca di tutto il mondo sono stati attratti dal nuovo materiale. Sono riusciti a realizzare fogli di grafene in modo sempre più efficace e privo di difetti, e a rivelarne in modo più completo le proprietà  fisiche e chimiche.

Scienziati più orientati a sfruttarne le proprietà  in applicazioni stanno valutando le potenzialità del materiale per la realizzazione di sistemi elettronici e fotonici – per il calcolo e la comunicazione – e di sensori nel campo delle tecnologie biomediche. Per esempio, presso l’Università  di Pisa, noi ingegneri stiamo cercando di capire se il materiale delle meraviglie può essere usato per realizzare transistori veloci. Bravissimi colleghi fisici della Scuola Normale e dell’Università  di Pisa, sono concentrati sullo studio delle proprietà  fisiche di base del materiale.

La prima scoperta pionieristica di Geim e Novoselov è stata seguita da decine di migliaia di lavori scientifici in pochissimi anni, realizzati da migliaia di scienziati. Un tale impatto meritava un Nobel, era solo questione di tempo. La tempestività, stavolta, ha stupito positivamente.

E’ ancora presto per dire se e come il grafene cambierà  la nostra vita. Spesso le applicazioni rivoluzionarie non sono prevedibili fin dall’inizio. Ma le proprietà  del materiale sono così belle che siamo in molti a scommettere non rimarranno inutilizzate. Il grafene è un bambino di sei anni. Ha tutta la vita davanti.

[Image: Copyright IEEE, Gianluca Fiori]

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La ricerca che cambia il mondo

Scienza e tecnologia hanno sempre avuto confini molto sfumati. Provare a spiegarne la differenza a un’adolescente curiosa può essere causa d’imbarazzo anche per uno scienziato di mezza età . Si cade facilmente in contraddizione. Si finisce per non essere completamente convinti di quello che si dice. A me piace dire che – sebbene ormai usino mezzi e tecniche simili – la scienza vuole cambiare la nostra visione del mondo, e la tecnologia vuole cambiare il mondo. Ma tendo a confondere le due cose.

Il bello è che spesso scienza e tecnologia sono tutt’uno. Prendiamo il Nobel per la fisica 2009, assegnato per metà  a CharlesKao, per ricerche fondamentali nel campo delle fibre ottiche, e per metà  a Willard Boyle e George Smith, per l’invenzione del sensore CCD, su cui sono basate tutte le moderne fotocamere e telecamere digitali. Sono temi di importanza assoluta: le fibre ottiche e le immagini digitali tengono letteralmente il mondo insieme.

Elettronica e fotonica sono scienze “dure”, tecnologie che trasformano il mondo, settori industriali strategici per un Paese grande e forte. Ogni riduzione a una sola categoria è semplicemente sbagliata.

Le ricerche premiate con il Nobel 2009 sono state svolte in grandi laboratori Industriali, in quelli che erano i Bell Labs della americana AT&T per i CCD, e i laboratori Standard Telecommunications nel Regno Unito per le fibre ottiche. Erano laboratori sostenuti dai profitti dei giganti monopolisti delle telecomunicazioni. Avevano le risorse (e il senso di responsabilità  derivante dal privilegio) per finanziare ricerca di altissimo livello, senza fare distinzioni tra scienza di base e ingegneria. Da mecenati, incoraggiavano e promuovevano il meglio e il bello.

Ma quel tempo è finito. La necessaria abolizione dei monopoli e l’avvento del supercapitalismo, come lo chiama Robert Reich nel suo recente bellissimo libro, hanno avuto come effetto collaterale l’estinzione dei grandi laboratori industriali. Anche i Bell Labs sono ridotti al lumicino. Due anni dopo la sentenza che smembrava la AT&T nel 1984, George Smith è stato praticamente prepensionato.

Nel nostro Paese abbiamo avuto i monopoli ma rarissimi casi di laboratori industriali d’eccellenza. Il guaio è che scienza e ingegneria sono spesso viste in modo antitetico. È un enorme handicap culturale: formiamo giovani scienziati che si concentrano solo sulla ricerca di base rinunciando a cambiare il mondo, e spesso anche a trovare opportunità di carriere interessanti fuori dell’ambiente accademico. L’investimento tipico delle aziende industriali in ricerca è trascurabile, con rovinose conseguenze per la loro stessa sopravvivenza e per lo sviluppo economico del Paese. L’handicap è aggravato da un sistema della ricerca pubblica poco competitivo e privo di metriche di rilievo, che considera la scienza applicata altro rispetto alla scienza pura.

E invece, la ricerca più bella e più rilevante è grande scienza “pura” e grande tecnologia. Ci fa capire il mondo, ci fa cambiare il mondo in meglio, ci fa più ricchi.

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