The problems with semiconductors

In graduate engineering lectures, we mainly focus on the technical, physical, and system-level aspects of the different issues, rarely broadening the view to the global economic or industrial scenario.

But in recent times semiconductors (and the geopolitics of semiconductors) are often in the News, so I decided to dedicate to the topic some time in class last week.

This is a surprising graph: it is the 2020 production of chips (in total area of silicon dies [1]) subdivided by country or geographic area of fab location e type of technology. Technology is expressed as a number of nanometers, which indicate an equivalent scale factor [2].

Today, the most advanced available technology is the “5 nanometers” (5 nm), available only in Taiwan (TSMC) and in South Korea (Samsung), maybe soon in the US (Intel). In the graph, it is indicated in red (“< 10 nm”): it is the technology required for advanced processors for smartphones (Apple, Qualcomm), laptops, game consoles (Sony, Microsoft), advanced graphics (Nvidia). Europe, China, and the USA do not have this technology and must buy from Taiwan and Korea. The US is trying to be back in the game and to keep China out. European countries are only hoping that a big company from abroad builds a fab.

For this technology, there is a global production scarcity, as everybody trying to buy a PS5 PlayStation in the last year has noticed. Why: a single fab has a cost of 1-20 B$, years to have it in operation, with great risks associated to technology, infrastructures, and market.

The technology used of chips in cars and advanced mechanical equipment is mostly from 40 nanometers and up, a set of technologies introduced between 10 and 20 years ago. They are the orange and blue bars in the graph. They are relevant in Europe and in the whole world, because they require smaller CAPEX (< 1 B$) and are old, and because the main customers (the Auto and Mechanics Industry) are in Europe.

Also chips fabricated with these mature technologies are scarce: we all have read the news of carmakers that have reduced car production because chips are not available. How is it possible? Because too many are increasing inventory, I am afraid, in order not to find themselves without chips the next time. Basically, the same mechanisms according to which toilet paper disappeared from supermarkets at the beginning of the pandemic. It is not a structural scarcity, just a panic moment, we need to wait that the inventory is full.

I do not want to add anymore because the post is already too long, but there is a lot more. The semiconductor sector is hot from the scientific point of view, from the technological point of view, and from the points of view of economics and politics.

As usual, the feeling is that TV and politics use slogans and do not have a clear picture of the issues (and I fall again in Gell-Mann amnesia [3]).

[1] The unit of measure of the plot is a wafer – a thin silicon pizza – with a diameter of 200 mm on which hundred or thousands of chips are fabricated.

[2] Up to 15 years ago the name of the technology node used to indicate the main transistor length (the gate length), but now is only a scale factor: the number of transistors per centimeter squared of silicon is inversely proportional to the scale factor (therefore, for example, the “10 nm” technology contains four times the number of transistor per square cm than the “20 nm” technology).

[3] https://iannak1.medium.com/i-have-crichton-amnesia-e31bf3b75326

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I problemi con i semiconduttori

Nei corsi a Ingegneria ci concentriamo per lo più sugli aspetti tecnici, fisici e sistemistici delle questioni, raramente allargando lo sguardo al panorama economico o industriale globale. Ma negli ultimi tempi si parla così tanto di semiconduttori e di geopolitica dei semiconduttori sulla stampa, che ho deciso di parlarne anche un po’ in classe la settimana scorsa.

Questo è un grafico che lascia sorpresi: è la produzione 2020 di chip (in superficie totale di tasselli di silicio [1]) suddivisa per paese o area geografica di localizzazione della fabbrica (la fab) e tipo di tecnologica. La tecnologia si esprime con un numero in nanometri, che indica un fattore di scala equivalente [2].

Oggi, la tecnologia più avanzata in produzione è la 5 nanometri (nm), disponibile solo a Taiwan (TSMC) e in Corea del Sud (Samsung), forse a brevissimo in USA (Intel). Nel grafico è indicata in rosso (“< 10 nm”): è la tecnologia che è ormai necessaria per i processori avanzati per smartphone (Apple, Qualcomm, etc.), per portatili, per console giochi (Sony, Microsoft), per schede video (Nvidia). Europa, Cina, e Stati Uniti sono fuori da questa tecnologia. Tutti comprano da Taiwan e Corea. Gli Stati Uniti (Intel) stanno provando a rientrare in gioco e stanno cercando di tenere lontana la Cina. I paesi europei sperano solo che qualcuno venga a costruire una fabbrica da fuori.

Su questa tecnologia c’è carenza di capacità produttiva su scala mondiale, come ha notato chiunque abbia cercato di comprare una playstation PS5 nell’ultimo anno. Perché: una singola fab costa 15-20 miliardi di dollari, e ci vogliono anni per metterla in funzione, con grandi rischi legati alla tecnologia, alle infrastrutture di contorno e al mercato.

La tecnologia usata per i chip delle auto e delle macchine utensili avanzate è quella dai 40 nanometri (nm) in su, un insieme di tecnologie con un’anzianità di 10 – 20 anni. Sono le barre in arancione e in blu sul grafico. Sono presenti in modo rilevante in Europa e in tutto il mondo, perché si tratta di investimenti molto più piccoli (meno di 1 miliardo per fabbrica) e vecchi, e perché i clienti principali (settore auto e meccanica) sono in Europa.

Anche i chip realizzati con queste tecnologie mature scarseggiano ormai: tutti abbiamo letto sui giornali di case automobilistiche che hanno ridotto la produzione di auto perché non trovavano i chip. Ma come è possibile? Perché in troppi stanno facendo scorta, temo, per non ritrovarsi senza in una prossima eventualità, come quando durante la pandemia era sparita la carta igienica dai supermercati. Non è una carenza strutturale, è solo il momento di panico, bisogna aspettare che i magazzini siano pieni.

Non aggiungo altro perché il post è già troppo lungo, ma c’è molto di più. Il settore dei semiconduttori è in ebollizione sia dal punto di vista scientifico, sia dal punto di vista tecnologico, sia dai punti di vista economico e politico.

Ma come al solito, la sensazione è che la TV e la politica vadano per slogan e non abbiano neanche presente i termini della questione (e io casco per l’ennesima volta nell’amnesia di Gell-Mann [3]).

[1] l’unità di misura usata in figura è un wafer – una sottile pizza di silicio – di 200 mm di diametro su cui vengono realizzati centinaia o migliaia di chip.

[2] fino a 15 anni fa il nome del nodo tecnologico indicava la lunghezza principale di transistore, oggi è soltanto un fattore di scala: il numero di transistor per centimetro quadro di silicio è proporzionale all’inverso del quadrato del fattore di scala (quindi per esempio la tecnologia 10 nm contiene il quadruplo dei transistor per centimetro quadro della tecnologia 20 nm).

[3] https://iannak1.medium.com/i-have-crichton-amnesia-e31bf3b75326

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La partita dei semiconduttori

Ho cercato di inserire i miei due cent di opinione: lo spazio per l’Europa e l’Italia è stretto nella partita ma c’è, partendo da dove siamo forti: l’elettronica per l’automobile, per la meccanica avanzata e per l’energia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/09/25/si-infiamma-la-partita-globale-dei-semiconduttori-cina-usa-ed-ue-stanziano-centinaia-miliardi-litalia-ha-buone-carte-da-giocare

Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "SOSTIENICI ECONOMIA&LOBBY iFato Quotidiano.it Si infiamma la partita globale dei semiconduttori. Cina, Usa ed Ue stanziano centinaia miliardi. L'Italia ha buone carte da giocare"
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Covid Italia – 7 agosto 2021

Un problema è risolto quando è risolto, non quando siamo stufi di parlarne. Guardate il grafico qui sotto (dati da protezione civile). L’effetto del vaccino viene più che neutralizzato dal comportamento molto più disinvolto di tutti noi.

Servono mascherine, tracciamento (dov’è finito?) e test.

In aggiunta al vaccino, non al posto del vaccino.

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Marco Bentivogli: Lavoro, Politica industriale e di innovazione

Marco Bentivogli è un sindacalista, esperto di politiche del lavoro e di innovazione. È stato segretario generale della Federazione Italiana Metalmeccanici (FIM CISL) dal 2014 al 2020. Attualmente è coordinatore di Base Italia, un’associazione culturale che si pone l’obiettivo di proporre soluzioni per rilanciare la crescita economica e sociale del paese. È autore di alcuni libri sul lavoro e sulla transizione industriale: “Contrordine Compagni” (Rizzoli, 2019), “Fabbrica Futuro” (Egea, 2019), “Indipendenti” (Rubettino, 2020).

Nel numero di giugno di Harvard Business Review Italia è uscito un articolo a firma sua e di altri coautori, alcuni dei quali già incontrati in questa serie, su un modello a rete per la ricerca e l’innovazione in Italia.

Marco Bentivogli è la persona più adatta per una conversazione su come cambia il lavoro in un periodo di grandi trasformazioni, nei fatti e forse ancora di più nelle intenzioni, della struttura industriale ed economica del paese.

Questo incontro è promosso dal progetto di ricerca Evo4.0 sull’evoluzione delle tecnologie industria 4.0 e il loro impatto socio-economico. Il progetto Evo4.0 è cofinanziato da Regione Toscana ed è coordinato da Giuseppe Iannaccone, nell’ambito del laboratorio Crosslab IT& Società del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, Università di Pisa.

i21 è una serie di conversazioni con Giuseppe Iannaccone su come prepararsi al mondo che cambia e sull’impatto che scienza e tecnologia hanno sull’economia, società, lavoro, istruzione, cultura. Il podcast qui:

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Stefano Zamagni: Disuguaglianze, Economia Civile, Beni Comuni

La serie di i21 continua con una conversazione con Stefano Zamagni sulle disuguaglianze, nello scenario rappresentato dalla presente fase digitale e immateriale del capitalismo.

Stefano Zamagni è presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali ed è professore di economia politica presso l’Università di Bologna. Fino al 2011 è stato presidente dell’Agenzia Nazionale per il Terzo Settore.

Abbiamo esplorato l’impatto del capitalismo digitale sulle disuguaglianze e il modello di economia civile, e a partire dal suo ultimo libro “Disuguali”, edito da Aboca Edizioni, e dei sui numerosi interventi pubblici sull’economia del bene comune.

La playlist con tutti gli incontri di i21 è a questo link, enjoy!

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Nel PNRR manca l’ambizione di essere fornitori di tecnologie

Questo intervento è apparso il 30 marzo 2021 sul sito del Sole24ore [qui]

Per il nostro paese è fondamentale essere un fornitore di tecnologie avanzate, non un semplice acquirente di tecnologie. Purtroppo, questa ambizione è assente nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sia nella versione attuale, sia nella bozza precedente, e purtroppo in molte delle proposte di modifica. È un problema non nuovo, presente anche nell’iniziativa nazionale Industria 4.0.

Quasi tutti gli investimenti in innovazione previsti nel PNRR puntano a migliorare i processi interni della Pubblica Amministrazione, del sistema sanitario, delle imprese, dei trasporti.

Sono certamente cose importanti. Il problema è che solo una quota minuscola degli investimenti è dedicata a potenziare la capacità delle imprese nazionali di fornire nuove tecnologie e di competere sui nuovi mercati ad alto contenuto tecnologico.Vediamo i numeri.

In un PNRR di circa 200 miliardi di euro, ci sono due soli interventi esplicitamente dedicati ai fornitori di tecnologie: 750 milioni destinati al potenziamento degli investimenti dell’industria microelettronica, nel quale abbiamo un campione nazionale in STMicroelectronics (metà italiano e metà francese, per la precisione), e una quota minoritaria dei 900 milioni alla voce Costellazione satellitare e Istituto Nazionale di Osservazione della Terra, che aumenteranno le capacità tecnologiche di alcune imprese nazionali nel settore dello spazio. In tutto, circa 1 miliardo dei circa 200 è destinato di fatto ad aiutare nostre imprese a conquistare o a mantenere posizioni di leadership in mercati ad alta tecnologia.

Semplificando, il piano ha il punto di vista del paese fornitore di tecnologie per una parte su 200, del cliente per il resto.Questo difetto di fondo, che rivela forse scarsa ambizione e certamente volontà di non scegliere, è già presente nel piano nazionale Industria 4.0, di cui il capitolo Transizione 4.0 del PNRR è la continuazione.

Il confronto con le scelte di Germania e Francia chiarisce meglio il punto. La Germania ha promosso l’iniziativa Industrie 4.0 con l’obiettivo di rendere le imprese tedesche sia i maggiori acquirenti e sia i maggiori fornitori di tecnologie per la rivoluzione digitale. Ha inoltre privilegiato nell’iniziativa quelle tecnologie nelle quali le imprese tedesche possono ambire ad essere leader di mercato.

La Francia, meno ambiziosa perché dotata di una base industriale molto indebolita nel tempo, ha deciso di concentrare gli investimenti su una dozzina di nuovi mercati tecnologici in cui esistono campioni nazionali che possono ambire alla leadership, se ben sostenuti, e su una seconda dozzina di mercati in cui ci sono imprese nazionali in grado di conquistare la posizione alle spalle del leader.

Nel caso italiano, si lascia libertà alle imprese di fare investimenti in un ampio ventaglio di tecnologie, tipicamente definite dalle grandi società di consulenza americane, purché siano rispettati alcuni requisiti generali, rinunciando a concentrare gli sforzi.Il nostro paese ha una forte manifattura e capacità tecniche, ma risorse limitate.

Per non perdere rilevanza come potenza industriale, ha bisogno che imprese nazionali riescano a diventare leader di nuovi mercati ad alta tecnologia, anche di nicchia, meglio se non limitate alla filiera produttiva tedesca.

Per favorire questo esito è necessario prendere l’iniziativa e concentrare una parte rilevante delle risorse del PNRR su quei settori tecnologici in cui ci sono reti di nostre imprese in grado di competere, se sostenute adeguatamente. Sono scelte che ovviamente spettano alla politica, ascoltati gli attori industriali e tecnologici del Paese, a cui è importante non rinunciare.

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Ep. 7: Irene Tinagli: Ripresa, Resilienza, Talenti

Episodio 7 di i21: una conversazione con Irene Tinagli sulle opportunità e i rischi della ripresa post Covid in l’Italia e l’Europa, sulle due transizioni digitale ed ecologica, sui giovani e la formazione.

Irene Tinagli è Presidente della Commissione Problemi Economici e Monetari (ECON) del Parlamento Europeo, che ha istruito il Resilience and Recovery Facility e lo strumento InvestEU, recentemente approvati. La commissione ECON si occupa inoltre della politica industriale e Industria 4.0, e dei finanziamenti e investimenti regionali.

È autrice di “La Grande Ignoranza” e “Un futuro a Colori” (Editore Rizzoli) e di numerosi studi accademici sull’impatto sociale dell’industria culturale e creativa.

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Paola Bonomo – Startup, Innovazione, Ricerca

Una conversazione su Startup, Innovazione e Ricerca con Paola Bonomo, vice presidente di Italian Angels for Growth, la più grande associazione italiana di Business Angels, e consigliere di amministrazione indipendente di numerose società quotate, dove porta la sua esperienza di ruoli di leadership nel settore delle telecomunicazioni, tecnologie, media.

Paola Bonomo è una delle persone più influenti nel panorama startup nazionale, con molte esperienze di investimento in imprese in tutti gli stadi di sviluppo. Parleremo anche di startup deep tech con le radici nella ricerca universitaria e di come si sta evolvendo la scena nazionale ed europea.

Link dalla conversazione:

Candidature per Inspiring Fifty 2021: https://italy.inspiringfifty.org/nominations-2021

Abbiamo parlato di quanto siano importanti i modelli di successo per le donne che vogliono intraprendere una carriera tecnica, professionale o imprenditoriale. Inspiring fifty fa proprio questo!

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Giada Messetti – Nella testa del Dragone

La Cina, le ambizioni di primato tecnologico, economico e politico del Dragone, l’identità del paese e le relazioni con l’occidente in una conversazione con Giada Messetti, sinologa e autrice di “Nella Testa del Dragone”, Mondadori Editore.

Cercheremo di capire anche perché l’immagine comune della Cina è ormai superata dalla realtà attuale. Giada Messetti è una sinologa che ha vissuto a lungo in Cina, collaborando con numerose testate giornalistiche.

Attualmente è autrice di Cartabianca su Rai3 e opinionista su temi legati alla Cina.Dopo il posizionamento come fabbrica del mondo, la Cina sta investendo in modo poderoso nelle tecnologie strategiche per l’economia digitale, quali i semiconduttori, l’intelligenza artificiale, la finanza digitale.

Nella competizione tecnologica tra Cina e Stati Uniti, le nazioni europee corrono il rischio di diventare sempre più marginali. Cerchiamo di capire meglio questo tema critico per i prossimi anni.

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